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La festa di San Martino a Serra d'Aiello Tutto il paese in processione dietro alla statua Attraversando le zolle dell'antica Temesa |
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San Martino ogni mosto è vino, già il vino.
Mi chiedo, varie feste di piazza si terranno in giro per la Calabria, in prevalenza nei comuni interni. Certamente si svolgeranno anche vari festeggiamenti religiosi. Perseguendo nella curiosità antropologica delle abitudini dei calabresi in ambito religioso, mi organizzo per andare da qualche parte. Cerco sulla rete e rilevo pochissimi comuni che hanno come patrono il santo del vino. Sono pochi e lontani, desisto perché in autunno-inverno le processioni sono molto penalizzate, il tempo incerto non favorisce lunghe traversate, ammetto che oggi non è propriamente l’estate di San Martino, ma lo è stato nei giorni scorsi. continua dopo le foto
Scopro con sollievo che a Serra d’Aiello si festeggia il santo, vado.
Sul web non trovo alcun elemento documentale su tale evento, strano. Telefono al comune per sapere l’ora, alle 16,30 mi rispondono.
Serra la conosco minuziosamente, comunque parto alle ore 15,02 per girare un pò in paese, le luminarie, le bancarelle, le donne indaffarate, i bambini in strada, gli anziani al bar.
Arrivo alle 15,28 e mi sorprende che l’accesso al paese non sia transennato, non vedo luminarie ai lati della strada, accedo e arrivo nella piazza centrale.
Se non conoscessi dettagliatamente il luogo penserei di aver sbagliato paese, ma il paese non l’ho sbagliato.
Non c’è traccia di festa, non ci sono bancarelle, né palco, nè luminarie, solo alcuni anziani davanti al bar, pochi; con alcuni di essi c’è una conoscenza da anni per quante volte son venuto qui, mi offrono il caffè. Parlando della processione apprendo che sarà alle 17,30, quasi due ore ancora, che fare?
Sono tentato a rientrare, ma ormai sono qui, aspetto.
Faccio un giro per il paese, che ho già fatto in passato più volte, ma il tempo non è dei migliori.
Mi avvio verso il comune, ammiro due murales che l’ultima volta non c’erano, passo davanti alla graziosa chiesetta dell’Addolorata che è aperta; entro per ammirare la pala dell’altare di “Nostra Signora della Concezione” attribuita alla scuola di Luca Giordano. Procedo oltrepassando l’edificio del Museo archeologico in manutenzione che contiene tanti reperti ritrovati anche grazie all’opera dell’associazione Alybas, poi il palazzo comunale chiuso; a pochi metri l’immenso edificio del Papa Giovanni XXIII, ovviamente sbarrato dopo le inquietanti vicende che nel 2009 ne hanno obbligato la chiusura.
Il plumbeo pomeriggio autunnale, tipo padano, rende ancora più cupa la vista dell’immenso edificio avviluppato da una incipiente decadenza strutturale.
Procedo salendo fino al cimitero, in zona rialzata che consente una discreta vista panoramica.
Scatto qualche fumosa foto all’orizzonte di “quest’ermo colle” che unisce i rilievi del fronte cosentino e del fronte catanzarese della valle del Savuto; in lontananza, schiacciato da un cilindro di nuvole bianche, l’abitato di S. Mango d’Aquino e più ad est Martirano Lombardo.
Vorrei procedere fino al Parco archeologico di Cozzo di Piano Grande, poco più di un km, desisto, non ho niente per ripararmi da eventuale pioggia.
La strada inversa la percorro più velocemente, nessun rumore dalle case, nè persone, nè finestre aperte, nè panni stesi. Le prime persone le incontro presso la chiesetta, sono componenti della banda musicale cittadina che si stanno preparando in un locale a piano terra. E’ straordinario che in un paesino che ufficialmente conta 511 residenti (in realtà una parte di essi vive a Campora) si riesca ad avere una banda musicale. Ciò dimostra una consistenza civica superiore a quanto è dato vedere per strada in questa festività di S.Martino.
Mi viene un pensiero fuori tema su come mai Campora, così attiva, non abbia ancora una banda musicale.
Ritorno in piazza ove ritrovo le stesse persone di prima, mi avvio verso la chiesa parrocchiale di S.Martino, sono le 16,15 tra poco c’è la messa. Intorno alla chiesa non c’è ancora nessuno, vado avanti tra vicoli che scendono a valle, scorci sul Savuto e sul golfo lametino con punta Briatico dalle sembianze omeriche.
Ritorno in chiesa dopo mezz’ora, la celebrazione della messa è in corso, la chiesa affollata, il celebrante ha un accento del nord.
Constato con sorpresa quanta gente sia arrivata improvvisamente, stimo, tra interno ed esterno, almeno metà della popolazione residente. Non pochi volti di camporesi a dimostrazione delle loro origini.
In prima fila sui banchi di sinistra il sindaco Giovanna Caruso e forze dell’ordine.
Guardo con attenzione la composizione anagrafica: pochi giovani, pochissimi bambini, gli altri anziani e vecchi; E’ facile dedurre il futuro demografico del paese.
Sul lato destro della navata, ai piedi dell’altare, la statua del santo che divise il mantello con un mendicante. In mano il grappolo d’uva, il libro, il bastone. Il santo non è raffigurato con l’intera figura, ma con un busto di gesso ben decorato.
Rifletto che molte statue di santi dei paesi interni sono rappresentate con il solo busto, cosa che non riscontro nei paesi costieri.
”La messa è finita, andiamo in pace alla processione”, così conclude il rito liturgico il parroco officiante. Quelli non seduti defluiscono all’esterno, tra i banchi rimangono le donne ad intonare un canto che accompagna l’uscita della statua dalla chiesa.
La discesa degli alti gradini è un pò difficoltosa, la statua si ferma nel piccolo spiazzo attendendo i fuochi che non si accendono (mi viene in mente Caliciunu sparave li botti…).
Inizia la salita verso il centro del paese con l’ausilio delle luci ordinarie.
Nei paesi interni le processioni dimostrano una fattività che dà corpo ad orpelli qui evitati con decorosa essenzialità.
I fedeli incolonnati dietro al santo arrivano in piazza, si avviano verso la strada provinciale per accedere al tratto elevato dell’abitato.
Qui finisce la mia partecipazione mentre il corteo procede per il resto del paese rientrando in chiesa dopo quaranta minuti.
Il prete dall’altare aveva annunciato che, nonostante l’assenza totale di risorse finanziarie, in serata vi sarebbe stato un gruppo musicale in piazza; immagino anche qualche banchetto alimentare, forse qualche bancarella, ma in questo momento non v’è ancora traccia di ciò, arriveranno dopo.
Salgo in auto che sono le 18,15 mi avvio per la tortuosa strada provinciale 245 che scende fino a Campora. Attraverso le zolle di Temesa, migliaia e migliaia di anni fa, ma quale futuro?
Il futuro di una moltitudine di piccoli paesi, ovunque, impossibilitati ad assicurare il ritmo della modernità. La crescente carenza di risorse costringerà ad ottimizzare la spesa pubblica orientando le comunità verso aggregazioni inevitabilmente razionali.
Tradizioni e culture che verranno trasferite ma non sommate di cui si perderà traccia.
Nella fattispecie di Serra d’Aiello un ruolo determinante ha avuto l’istituto Giovanni XXIII che per anni ha costituito un volano economico che ha consentito una certa vitalità.
La chiusura, inevitabile, ha accelerato un processo di prosciugamento generale che proseguirà con inevitabile contenimento della portata demografica.
Comunque vada il futuro, avrà sempre il suo fascino risalire a Serra d'Aiello tra le zolle dell'antica Temesa, fermarsi nella casa del bronzetto, ascoltare il vento sussurrare le pagine di Omero, Pausania e Strabone e immaginare all’orizzonte marino l’eroe itacense solcare il Tirreno verso casa.
Antonio Cima 12-11-2014
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